Lorella Di Fidio, diciannove anni, ha nella sua brevissima esperienza di vita materializzato un concetto che molto spesso fatichiamo a interiorizzare: l’importanza delle parole.
L’articolo a sua firma apparso sul numero dello scorso luglio del Peperoncino Rosso: Link, il primo e l’unico prima che la sua tormentata esistenza giungesse all’epilogo, appare oggi un concentrato maestoso di forza vitale, un elemento di potenza quasi sovrumana, imponente come il mistero della parola.
La frenesia con cui ci affatichiamo alla ricerca del benessere, e che al contrario, molto spesso, ci sprofonda nel malessere, ci impedisce di fermarci a riflettere sull’essenziale. Proprio oggi che le parole, soprattutto quelle scritte, sembrano cedere il passo a un’esistenza vissuta per immagini e suoni concepiti per propagandare successo, carriera, denaro e performance, le parole di Lorella ci riportano a un concetto primordiale: le parole sono vita. Le parole scritte sono vita che si tramanda. Attraverso le parole tutto si crea e nulla va perso.
Sembrano astrazioni, ma solo perché facendo shopping abbiamo dimenticato l’anima in qualche grande magazzino.
Il racconto biblico della Genesi è parte della nostra formazione sin dall’infanzia (o almeno così era una volta). La storia di come Dio creò il mondo la conosciamo tutti e si aggira nel nostro immaginario come una favola per bambini. Sappiamo che «la terra era informe e deserta», ma che poi qualcosa ebbe luogo e tutto fu creato. «Dio disse: “Sia la luce!”, e la luce fu».
Dio disse. Parlò. Prima della parola non c’è niente, dopo la parola qualcosa esiste. Prima ancora della luce Dio esisteva già: «…lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». Eppure, anche se Dio era presente stava in silenzio, e perciò nulla esisteva. Per la Bibbia, qualcosa esiste solo se ha un nome, se può essere pronunciato, se può essere scritto. Senza la parola, nulla ha vita, né un oggetto, né un concetto, né la vita. Ciò che non ha un nome semplicemente non esiste.
Nel romanzo Cent’anni di solitudine, del mitico Gabriel Garcia Marquez, una strana malattia colpisce la popolazione di Macondo. A causa dell’insonnia, la gente comincia a dimenticare le parole, tanto da essere costretta a scrivere dei biglietti per ricordare i nomi delle cose. Senza il nome, infatti, le cose non possono essere concepite. Un popolo che non ricorda come si chiama il pane perde la capacità di produrlo, tralascia di coltivare il grano, torna all’uomo delle caverne e, in definitiva, si trasforma in animale. L’uomo è umano solo se comunica, perché – proprio come nella Bibbia – la parola è fonte di vita, senza la parola esistono solo le tenebre. Come fa la popolazione di Macondo a salvarsi da questo orribile destino? Scrive. Scrive dei bigliettini per tenere in vita gli oggetti. Nella Bibbia la parola è creatrice, in Cent’anni di Solitudine è conservatrice.
Oggi che Lorella non c’è più, rileggere il suo pezzo sul Peperoncino è come inspirare a pieni polmoni un soffio di forza vitale. Le sue parole sono creatrici. Come nella Bibbia: prima di esse ci sono solo le tenebre della malattia, dopo c’è la vita straordinaria di una ragazza straordinaria; prima c’è l’oscurità della sofferenza, dopo la luce dei suoi affetti, delle sue speranze, della gioia per gli obiettivi raggiunti, della condivisione con le sue amiche devote. Prima delle sue parole il buio della nostra superficialità, della nostra ignoranza, della nostra incapacità di vedere; dopo le sue parole i nostri occhi che si aprono su una creatura meravigliosa.
La parola è una magia creatrice di cui Lorella aveva evidentemente colto il significato, e alla cui capacità conservatrice aveva affidato la sua memoria. Ha scritto, vivrà. Leggetela, vivrà.
Lorella, con quel suo corpicino minuto, esile, gracile come un filo d’erba, ha sopportato una sofferenza inimmaginabile. I suoi genitori dicono che combatteva contro un drago. In realtà, un vero e proprio stormo di draghi l’ha tormentata sin dalla più tenera età. Non c’è nulla che si possa dire per consolarli per gli anni che hanno passato vicino a una figlia impegnata in una battaglia così brutale. C’è molto, però, che si può fare, come ad esempio una legge adeguata per coloro che si prendono cura dei propri cari, affinché non siano costretti a sopportare tutto il peso devastante di esperienze simili.
Se per Franco e Maria offro solo silenzioso rispetto, a Lorella invece una cosa per salutarla voglio dirla: ti leggerò per sempre.