A che serve leggere
Leggere serve non solo a conoscere ma anche a “riconoscersi”. Nei versi finali della poesia del poeta palestinese Mahmoud Darwish è racchiusa una filosofia di vita e il senso che in questi 20 anni ho inteso dare ad un giornale che di “locale” ha solo la tipografia dove viene stampato, perchè “se vuoi essere universale devi parlare del tuo villaggio” sosteneva un grande scrittore come Tolstoi. I docenti non vanno mai in pensione e quello che l’esperienza e lo studio mi hanno insegnato ho cercato sempre di metterlo a disposizione di chi è ancora nel buio pesto dell’ignoranza e dei pregiudizi e di chi è vittima della disinformazione.
I ragazzi sono stati sempre il mio target preferito perché è a loro che la mia generazione deve consegnare il testimone per migliorare l’esistenza di tutti, impugnando le armi della conoscenza, senza barattare la propria libertà di pensiero con interessi ambigui e meschini.
20 anni di impegno
Ed è stato questo l’humus nel quale è nato e cresciuto il giornale in 20 anni ininterrotti di impegno sia politico che culturale. Rileggendo le vecchie copie, che dal 2007 sono tutte archiviate online, i lettori possono ricostruire eventi politici, sociali e culturali, rivedere persone e luoghi scomparsi, studiare il cammino di una comunità operosa e piena di risorse intellettuali ed artistiche e notare come tanti giovani, scrivendo, hanno fatto tesoro negli anni di seminari, dibattiti, incontri con docenti, giornalisti, scrittori, poeti, attori, pittori, fotografi e politici incontrati nella galassia di attività organizzate dal Centro di Lettura Globeglotter, editore del giornale.
Gli ex giovanissimi che ormai hanno spiccato il volo, come Raffaele Di Biase, Francesco Tammacco, Ciro Montagano, Danila Paradiso, Emma Landriscina, Francesco Pagano, Valeria De Iudicibus, Rosa Tarantino, Annamaria Tarantino, Mariella Lupo, Alessio Carulli e tantissimi altri ormai sparsi per il mondo, hanno “incrociato” per qualche tempo la loro vita con quella del Peperoncino Rosso e mi piace pensare che siano riusciti tutti ad attingere suggerimenti, idee e valori dalle molteplici occasioni di confronto che hanno avuto.
In verità ho sempre sperato che nelle attività quotidiane dei ragazzi potesse sbocciare, di tanto in tanto, qualche fiore seminato con un libro, una citazione particolarmente significativa, una poesia, un racconto o un invito a scrivere di sé e della propria vita. In questo numero la speranza è diventata realtà. Ho inviato ai giovanissimi tra i 18 e i 29 anni 4 domande sugli stereotipi che descrivono i giovani di oggi e sulle attuali problematiche sanitarie. Mi hanno risposto velocemente in tanti costringendomi a tagliare, per esigenze di spazio, risposte scritte con inimmaginabile maestria e inaspettata maturità, avendoli conosciuti tutti da bambini.
La meglio gioventù
È la nostra “meglio gioventù” a cui dedichiamo questo numero, sicuri di ritrovare in futuro qualcuno di questi nomi nel “panel” dei dirigenti di imprese, dei ricercatori universitari, degli autori di pubblicazioni, dei primari di ospedali e degli interpreti musicali e cinematografici.
Far esprimere Marcella Carrer, Rosa Maglio, Giuseppe Marzucco, Fortuna Russo, Sebastian Luca D’Addario, Savio Vincitorio, Gurjit Kaur, Silvia Mutarelli, Melissa Di Terlizzi e Luca Carulli e scegliere di pubblicare come inserto il saggio breve sullo “Smart working”, scritto dalla 29enne Roberta de Pace, è apparso alla redazione il modo migliore per festeggiare 20 anni di libero pensiero. Non abbiamo ovviamente trascurato le generazioni di adulti e anziani che ci seguono con affetto (inviandoci foto, notizie di varia umanità ecc.) e che ci chiedono di continuare a stampare le copie cartacee indispensabili a chi non può leggere online il giornale.
I sacrifici che la redazione sostiene sono compensati dalla frase che è entrata a far parte del lessico casalino e che ripetono i cittadini quando non riescono a farsi ascoltare su singole problematiche: “che mo’ vado al Peperoncino Rosso”, individuando nel giornale uno strumento per diffondere voci sempre fuori dal coro o soffocate.
È l’impronta che ognuno di noi lascia dietro di sé la “vera” priorità della vita. “Le donne non devono aver paura del buio che inabissa le cose perché quel buio libera una moltitudine di tesori”. Me lo ha ricordato una mia ex alunna alla quale avevo fatto leggere tanti anni fa “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf.
Le parole che avevo utilizzato in passato per sostenere le fragilità di una adolescente, mi sono state restituite oggi, da una donna che incoraggia la sua vecchia professoressa a non avere paura. È questa catena che dobbiamo creare.