Grande è il dibattito aperto sulla didattica a distanza che ha limitato i danni dell’isolamento. Rimangono, ovviamente, le annose disparità sociali ed economiche proprie della società capitalista che non sono state inventate dalla pandemia
Nel 1937, nell’area di Chicago, imperversava una severa epidemia di poliomielite. Per prevenire il contagio, le autorità dell’epoca quindi né il sindaco Losapio, né il governatore Emiliano, né l’avvocato del popolo Conte, né il primus inter optimos Draghi – chiusero le scuole.
Le proteste delle famiglie non mancarono, i disagi erano tanti. Per venire incontro almeno parzialmente alle richieste dei genitori, si diede vita a un esperimento innovativo: l’insegnamento a distanza con la radio, il mezzo di comunicazione più tecnologico dell’epoca. Un’innovazione non da poco, eppure non una primizia. L’insegnamento via radio era già utilizzato nei migliori college americani ed era destinato a chi poteva permetterselo.
L’esperienza di Chicago rese fruibile a una platea più vasta quello che prima era un privilegio per pochi. Un privilegio che per i ricchi era quello di seguire le lezioni nelle proprie lussuose case, per i poveri quello di continuare a imparare senza mettere a repentaglio la vita o l’uso degli arti per via del terribile virus.
Croce e delizia della DAD
Come sappiamo, la pandemia di COVID-19 ha costretto le autorità di tutto il mondo ad adottare oggi misure simili a quelle del 1937, con diversi gradi di severità a seconda dell’andamento dei contagi. Per fortuna, l’evoluzione tecnologica ha fatto sì che oggi i nostri bambini non debbano accontentarsi della radio. Essi godono di strumenti didattici inimmaginabili solo fino a pochi anni fa: da casa, possono vedere gli insegnanti e i compagni di classe ed essere visti a loro volta, interagire con ciascuno di loro via audio o per iscritto, godere di un diario elettronico su cui vengono caricati i compiti che gli insegnanti possono poi controllare e correggere da remoto.
Questi strumenti hanno garantito una continuità nell’apprendimento davvero provvidenziale e, per alcuni aspetti, sorprendente. Il dilagare improvviso dei contagi, con la conseguente necessità di chiudere le scuole o limitarne l’accesso, avrebbe potuto determinare un vero e proprio vuoto formativo. Se ciò non è accaduto è proprio grazie alla tecnologia e alla capacità di adattamento mostrata da studenti, insegnanti e famiglie, i quali di fronte al pericolo hanno fatto la propria parte limitando i danni e, talvolta, evolvendosi.
In questo senso, è necessario sottolineare che laddove gli insegnanti hanno mostrato flessibilità, intraprendenza e passione, l’esperienza dell’insegnamento a distanza è stata particolarmente fruttuosa. Inutile nascondere che, a priori, era lecito coltivare delle riserve su come le scuole e i singoli insegnanti avrebbero gestito un ricorso così brusco alle tecnologie on line.
Bisogna considerare, infatti, che nessuno degli insegnanti di oggi è, per ragioni anagrafiche, un cosiddetto «nativo digitale», contrariamente ai nostri figli, i quali – a partire dai più piccoli danno per scontati gli strumenti digitali e il loro utilizzo nella quotidianità. Ci sono, poi, grosse (troppe) differenze tra un istituto scolastico e l’altro: qualcuno con maggiori capacità organizzative e risorse, qualcun altro più svantaggiato. Un plauso va a quegli insegnanti e quei dirigenti che si sono lasciati plasmare dalle necessità e un incoraggiamento va a coloro che incontrano maggiori difficoltà a destreggiarsi con le nuove tecnologie.
Ci sono state e ci sono ancora molte criticità. Le disparità sociali ed economiche proprie della nostra «adorata» civiltà capitalista giocano un ruolo determinante e si riflettono sulla capacità di accesso all’istruzione delle classi più svantaggiate. Le famiglie più numerose riscontrano notevoli difficoltà nella gestione dei figli in abitazioni che, molto spesso, non offrono spazi e strutture adeguati.
Genitori lavoratori
C’è poi il problema dei genitori lavoratori (cioè quasi tutti) che al mattino devono contemporaneamente organizzare la propria giornata lavorativa e quella di didattica a distanza dei propri figli. Il ricorso ai nonni è massiccio e non può essere una soluzione a lungo termine, anche per il pericolo di contagio.
Passi in avanti dovranno essere compiuti affinché a ciascuno sia garantito un livello minimo di accesso a questo innovativo quadro educativo: accesso privilegiato alle attrezzature, connessione gratuita e garantita, spazi pubblici fruibili in sicurezza per coloro che non ne dispongono in casa, personale extrascolastico di supporto. Tra le criticità segnalo, buon ultimo, che la scuola non è solo insegnamento.
Ribadendo un concetto già espresso nel mio articolo «Liberate i bambini!» pubblicato giusto un anno fa sul Peperoncino di aprile 2020, è necessario trovare ogni modo per non sopprimere totalmente la dimensione sociale dei più piccoli. In quell’articolo, scherzando, mi dicevo disposto a «incelofanare» i miei figli pur di farli incontrare con gli amichetti. Intendevo dire, ovviamente, che accanto alla chiusura delle scuole – il cui ruolo didattico è stato supplito dalla dad – bisognava tenere conto che i bambini non possono restare chiusi in casa e isolati per settimane.
Figuriamoci ora, a più di un anno di distanza dall’esplosione della pandemia. Su questo aspetto è assolutamente necessario fare passi avanti, prevedendo luoghi e modalità sicure di socialità «in presenza». Ciò detto, considerata l’emergenza estrema, l’esperienza della dad può considerarsi positiva.
Integralisti
Vengo ora al punctum dolens: i genitori integralisti. I genitori integralisti sono quelli a cui non va bene mai niente, quelli per cui la colpa è sempre degli altri, quelli che i politici fanno schifo, che gli insegnanti sono incapaci, che la scuola è un disastro, che il sindaco non fa le dirette facebook, che Emiliano mangia le cozze, che Conte se la fa con la Azzolina, che Draghi se la fa con la Merkel, quelli che c’è un complotto dei «poteri forti» che hanno inventato il virus per costringerli nientemeno che… a tenere i figli a casa!
Ce ne sono alcuni che si farebbero iniettare il microchip del 5G da Soros su un barcone ONG pieno di immigrati col Rolex, pur di non tenere i figli a casa. «Dobbiamo uscire per andare al lavoro!», gridano a gran voce. Solo loro lavorano. Gli altri si grattano. La pandemia, questa grande bufala architettata alle loro spalle, non è un argomento sufficiente. Centomila morti in un anno e tre milioni di contagiati non bastano. Loro vogliono la scuola «in presenza» a qualunque costo. Come se gli altri facessero salti di gioia a costringere i figli dentro le mura domestiche, a non vederli uscire, a vederli soffrire perché non si incontrano più con gli amichetti.
«È una vergogna! Le scuole chiuse e i bar aperti!», strillano. Cari genitori integralisti, ho una notizia per voi: pure i baristi hanno famiglia. E contrariamente a molti che godono del giusto privilegio dello stipendio garantito, loro (i baristi, i ristoratori, i lavoratori dell’indotto della ristorazione, i musicisti, i lavoratori dello spettacolo, i professionisti, i commercianti e chi più ne ha più ne metta) se non fatturano non campano. Oltretutto, i bar prosperano grazie ai vostri stessi pargoli che comprano birre a tutta forza e lasciano le bottiglie vuote sulle panchine della villa comunale; questo quando va bene, perché il più delle volte si divertono a frantumarle in mille pezzi davanti all’ingresso della scuola.
A proposito, a lasciare l’immondizia dappertutto gliel’avete insegnato a distanza o in presenza? Eravate «presenti» quando avete insegnato ai vostri figli a devastare la villa comunale? Se è così, credo proprio che l’insegnamento «in presenza» non sia garanzia di successo. Perciò: contegno. Se lo scotto da pagare per tenere in piedi questa baracca traballante che è la nostra «amata» società consumista in questo anno funesto di pandemia è arrangiarci e fare i genitori a tempo pieno, beh! questo è un costo che dobbiamo pagare.
Anche perché c’è da considerare che per ogni studente a cui si riesce a garantire una sufficiente didattica da remoto, ne corrisponde un altro con bisogni educativi speciali che può invece frequentare la scuola in presenza con un discreto grado di sicurezza per sé stesso e per gli insegnanti. Mai dimenticare chi è più sfortunato! Prendersela con la dad è da inetti.
Senza la DAD, senza gli insegnanti che tra mille difficoltà si sono prestati a questo salto epocale, il conto per noi genitori avrebbe potuto essere molto più salato. Perciò, smettiamola di ululare alla luna: rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare, ché in fin dei conti, considerato il disastro globale, ci sta andando pure bene.