Un mio articolo attirò l’anno scorso molta attenzione, anche perché “rimbalzato” dal noto sito Inchiostro di Puglia: Link. Ironizzavo sullo schwa (questo segno: ə) che per volontà di alcuni linguisti pionieri della parità dei generi a parole, dovrebbe concludere tutti i termini che indicano gruppi di persone misti maschi/femmine. Attualmente (comunque prima di aver bevuto tre gin tonic) aprendo, per esempio, un comizio di nostalgici comunisti direi: «Compagni!». Stando ai fautori della schwa non sarei patetico, sarei offensivo, maschilista, intollerante, omotransfobico, non inclusivo. Loro vogliono che io dica «Compagnə!», per non escludere dalla mia antiquata (e amatissima) invocazione le donne e ogni altro genere auto percepito.
Come si pronuncia? Boh! Nessuno lo sa, però la battaglia ideologica per l’affermazione del nulla è in pieno svolgimento. Eh sì, perché io facevo ironia, ma qui c’è fior di cervelloni che l’ha presa sul serio.
È di pochi giorni fa la notizia che è stata lanciata una petizione su change.org dal titolo Lo schwa (ə)? No, grazie. Pro lingua nostra, che ha già raccolto le firme di alcuni illustrissimi intellettuali, come Cacciari, Barbero, Flores D’Arcais. Costoro sono indignati per il fanatismo dei sostenitori dell’uso dello schwa, rei di inquinare la lingua italiana con sonorità estranee e inutili. E loro non ironizzano per niente! Sono serissimi nello stigmatizzare la piega ideologica che ha assunto la vicenda.
In definitiva, le cose stanno così: da un lato i fan dell’inclusività per via orale che vogliono lo schwa a tutti i costi, dall’altro i puristi della lingua italiana che combattono strenuamente per lasciarla incontaminata. E cioè ancora, da un lato quelli che se non dici Tuttə sei misogino o omofobo, dall’altro quelli che pensano che veramente ci sia il pericolo che un giorno qualcuno sia in grado di pronunciare la parola Tuttə. (Alla fine, sono come quelli che negano i diritti civili, tipo il matrimonio omosessuale. Ma se non ti piace non farlo! Nessuno ti obbliga. Perché rompi le palle agli altri? Cosa pretendete, la damnatio memoriae della schwa? Se non vi piace non usatela! Anche perché pur ammettendo che la petizione raggiunga due miliardi di firme, cosa potrebbe mai succedere? Cambiamo il codice penale e imprigioniamo quelli che amano la schwa? Eh su, dai!).
Io lo schwa non lo uso principalmente perché è impronunciabile, irriguardoso nei confronti delle autentiche battaglie per i diritti civili, e anche perché i suoi fautori attribuiscono a questo segno un portato ideologico insensato. È ridicolo il fatto che davvero qualcuno creda che lo schwa possa essere di qualche utilità nell’ambito della lotta per la parità dei generi. Come la mettiamo con coloro che hanno già raggiunto posizioni di prestigio senza storpiare la lingua? Come hanno fatto a diventare potenti senza la schwa?
Limitiamo il discorso alle donne (quello LGBTQ+ lo facciamo un’altra volta). Oggi, le tre posizioni politiche più importanti del continente europeo sono occupate proprio da donne. Ursula Von Der Leyen è la presidente della Commissione Europea, Roberta Metsola è la presidente del Parlamento Europeo, Christine Lagarde è la presidente della Banca Centrale Europea. Queste donne potenti non hanno avuto bisogno dello schwa per affermarsi. E come loro tante altre. (È meglio o è peggio che ci siano tre donne al comando in Europa? Io dico che avere tre donne della destra più conservatrice al governo del continente sarà pure inclusivo ma rimane una iattura. Però ai sostenitori dell’inclusione per meriti cromosomici non interessa: viva le donne, anche se sono pessime politiche.)
La diatriba sullo schwa, in realtà, è molto più stupida di quanto si possa descrivere con le parole, però io fino a qui arrivo. Dopo ci vuole Monica Vitti.
L’attrice è recentemente scomparsa e come spesso accade quando muore una celebrità del cinema si ha voglia di riscoprire i capolavori di cui è stata protagonista. Ho ripescato un film di molti anni fa: La Ragazza con la pistola, regia dell’immenso Mario Monicelli, 1968. Se non l’avete ancora visto, correte ad accendere la TV: guardare il film è più importante che finire di leggere questo articolo. Lo trovate gratis anche su youtube [https://www.youtube.com/watch?v=RLNyb88ndnQ].
Una avvenente siciliana viene rapita da un seduttore inaffidabile, che la disonora e la lascia in balia del biasimo familiare e pubblico. Stando alle regole, l’onore perduto della ragazza dovrebbe essere vendicato da un maschio della famiglia, ma Assunta (il personaggio, anzi lo personaggə interpretatə da Monica Vitti) non ha padre, né fratelli. La madre le mette in mano una pistola, strumento virile per lavare i peccati d’onore: la ragazza deve fare da sé, il maschio della famiglia è lei stessa.
Assunta, maschio per dovere e di femminissima e struggente bellezza, intraprende un lungo viaggio alla ricerca del seduttore, vigliacco e fuggitivo. Monicelli racconta in maniera sublime la parabola moderna e paradossale di una donna che deve farsi uomo per riacquistare i suoi diritti. La ragazza con la pistola, allegoria manifesta di un potere prêt-à-porter, abbracciando lo stilema valoriale maschile si fa grottesca parodia di se stessa, umiliata dalla perdita della propria identità di donna, maldestra e vittima. Si accorge pian piano che l’unico modo per recuperare la propria dignità è smettere di scimmiottare gli uomini e usare le armi della grazia, della bellezza, dell’eleganza, dell’astuzia, della seduzione, della razionalità. Quelle erano le armi di cui era sempre stata in possesso e che non aveva mai utilizzato per inconsapevolezza. Assunta scopre di essere potente quando qualcuno si accorge di lei in quanto donna, col suo sguardo di donna, il suo fisico di donna, le sue esigenze di donna, il suo coraggio di donna. Le sue gambe su un manifesto di moda sono il simbolo della rivelazione, della sua emancipazione dalla sudditanza. Assunta avrà la sua vendetta, ma la otterrà da donna in quanto donna: l’imitazione del maschio è una sconfitta.
La scena finale è un capolavoro nel capolavoro. Dopo aver consumato la sua femminea vendetta, Assunta fuma (scandalo! La sigaretta è prerogativa dell’uomo, alle siciliane non si addice fumare.) una sigaretta colma di consapevolezza, dominio di sé e del mondo, indipendenza, sicurezza e appagamento. Quello che non ha ottenuto scimmiottando gli uomini, Assunta lo ottiene liberando la donna che è sempre stata. Il capolavoro di Monicelli è la metafora cinematografica di un’ideologia vincente. Per le donne il potere non arriva imitando le cattive abitudini dei maschi, ma recuperando il senso profondo della propria femminilità. La pistola non serve, alle donne basta il cervello. Monicelli mette tutto su pellicola il 1968: chissà quante donne dell’epoca sono state influenzate dalla sua opera. E chissà quanto lo stesso Monicelli sia stato influenzato dalle donne coraggiose di quegli anni significativi.
Il femminismo ha avuto il suo apogeo in un momento storico in cui le rivendicazioni riguardavano diritti identitari della personalità: riforma del diritto di famiglia, aborto, diritti previdenziali, parità salariale, asili nido, indennità di maternità, congedo parentale (istituto un tempo chiamato allattamento in maniera piuttosto evocativa). L’odierna lotta per la parità si è trasformata in parodia di se stessa, come Assunta quando impugna un’arma. Dalla richiesta legittima di essere rispettate in quanto donne, le femministe del giorno d’oggi sono passate alla grottesca pretesa di trasfigurare le signore in uomini, impugnando ciò che nella cultura imperante fa del maschio un Vero Uomo: l’arroganza del potere ottenuto con la forza: la pistola. Non si cerca di portare le donne ai posti di potere maschili, bensì di portare il potere del maschio dentro le donne. E l’operazione sembra riuscire perfettamente.
L’uso dello schwa, presumendo di coagulare in una poltiglia indistinta identità diversissime, ha l’unico effetto di appiattire la percezione di sé e degli altri su posizioni cristallizzate dalla cultura capitalista e consumista che impregna ogni aspetto delle nostre esistenze. Un tempo si aveva la speranza che le donne al potere potessero migliorare le nostre vite e la maniera di fare politica. Si diceva, ricordo, che le donne avrebbero portato il concetto di “materno” nelle stanze del potere, addolcendo i contrasti, ammorbidendo le vertenze più spinose, smussando i conflitti censitari. Oggi, purtroppo, sappiamo che un certo ugualitarismo non ha reso il potere più femminile, ma ha trasformato le donne potenti in ragazze con la pistola.
Io continuerò a usare la lingua italiana come me l’hanno insegnata. Per i gruppi misti userò il maschile e declinerò la politica sempre al femminile, sperando che un giorno lo diventi veramente. Al momento non vedo tante donne politiche, ma moltissimə politicantə.