Non tutti piangono quando muoiono i parenti. Ci sono anche quelli che esultano, come quelli che sperano di approfittare dell’eredità, per esempio. Qualcuno li chiama sciacalli, sbagliando: gli sciacalli razzolano nell’ombra, come se si vergognassero, e non si permettono di festeggiare.
Come è ormai risaputo, il Consiglio dei Ministri ha decretato lo scioglimento del consiglio comunale di Trinitapoli perché sarebbero state accertate «forme di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso tali da influenzare gli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione comunale», nel periodo 2016-2021.
I motivi della decisione sono allo stato sconosciuti. Si potrà avere un quadro più chiaro dopo la pubblicazione della relazione prefettizia che ha convinto il ministro Lamorgese a proporre lo scioglimento, senza la quale ogni illazione è priva di senso. Eppure, sebbene nessuno l’abbia letta (almeno si spera, il contrario sarebbe grave) molti si sono avventurati in ipotesi e pettegolezzi, aumentando il senso di disagio dei cittadini, i quali hanno sempre di più l’impressione che molti sapessero e nessuno parlasse.
Il funerale di Trinitapoli si è celebrato sui social laddove la notizia, rimbalzando verso i concittadini emigrati, ha causato ancora più dolore e sgomento per la cattiva sorte della propria terra d’origine. Molti di noi hanno ricevuto messaggi da parenti e amici lontani colmi di incredulità e dispiacere. Il marchio di “mafiosità” si è impresso a fuoco istantaneamente anche sulla pelle dei casalini lontani i quali fino a ieri erano orgogliosi della propria “casalinità”, che oggi, invece, saranno indotti a nascondere per non cadere vittime del pregiudizio.
Sono stati giorni molto tristi e ci aspettano almeno diciotto mesi di lutto. Eppure, qualcuno al funerale del paese si è presentato in paillettes e mutandoni, col fischietto in bocca, facendo il trenino e cantando Brigitte Bardot, Bardot – Brigitte beijou, beijou. Erano quelli che facevano il tifo per la morte. Sono persone tristi, lo si vede da lontano. Sono delusi, arrabbiati, famelici. Sperano di trarre vantaggio dalle macerie fisiche e morali di un’intera comunità. Sperano che almeno ora che tutto intorno c’è distruzione riusciranno in quello in cui hanno sempre fallito. Danzano intorno al morto, incuranti del dolore dei parenti, fregandosi le mani per ciò che verrà.
Ricordano l’imperatore Nerone, soprattutto quello interpretato magistralmente da Peter Ustinov nel colossal del 1951 Quo Vadis, con quell’espressione posseduta e un po’ allampanata. Roma è avvolta da un incendio incontrollabile. Gran parte di essa è rasa al suolo. La colpa è delle scarse misure di sicurezza: casette di legno, urbanistica caotica, riscaldamento con fiamme libere, assenza di mezzi di intervento. La distruzione della città non è opera di Nerone, ma gli fa comodo perché ha in mente un progetto faraonico.
Dove una volta c’erano le casette dei romani, lui costruirà la più sfarzosa residenza imperiale di tutti i tempi: la Domus Aurea. Per Nerone la distruzione di Roma era un bel regalo, ma non poteva mostrare al popolo la sua gioia, doveva anzi mostrarsi dispiaciuto. Che fece? Gettò la colpa sui poveri cristiani che a causa di quell’accusa infamante furono crocifissi a centinaia. Il popolo bevve la menzogna fino a quando non si accorse quali erano i veri scopi dell’imperatore. Quando le sue mire vennero allo scoperto scoppiò la ribellione e Nerone preferì suicidarsi piuttosto che affrontare il suo destino.
L’atteggiamento di alcuni politici trinitapolesi è vergognoso oltre ogni limite. Prima hanno taciuto per oltre un decennio su quello che stava accadendo a livello comunale. Alcuni di quelli che esultano per la morte del paese, sono in consiglio comunale da oltre quindici anni. In quindici anni non hanno alzato un sopracciglio: niente hanno visto e niente hanno fatto. Mai un solo nome è stato fatto, mai un solo fatto è stato denunciato. Oggi si svegliano improvvisamente e gioiscono perché il comune è condizionato da infiltrazioni mafiose. Gioiscono! Si vantano! Loro erano lì, da oltre quindici anni, e non hanno mai fatto nulla per evitare che si arrivasse al baratro di questi giorni. Eppure, esultano. Com’è possibile?, direte voi. Non provano vergona?
Ma di che vi meravigliate? La vergogna è un sentimento che appartiene alla gente per bene.
Per oltre un ventennio Trinitapoli ha subito un processo di deterioramento sociale, economico e politico di cui lo scioglimento per mafia è solo l’epilogo più triste. Molte delle forze migliori del paese sono emigrate alla ricerca di fortuna in luoghi più promettenti. Completamente travolti dall’ondata populistica di svilimento portata avanti a tutti i livelli, la politica è diventata luogo di frequentazione residuale. Le migliori forze produttive casaline si sono tenute alla larga dalla politica, impegnate a portare avanti le proprie vite, i propri interessi, non considerando che la dimensione collettiva è altrettanto importante, se non decisiva.
Queste forze hanno trascurato l’impatto nefasto che una classe politica inadeguata, composta per lo più di scarti, poteva avere sulle proprie attività. È stato un grave errore delegare la vita pubblica a quelli che avevano sufficiente faccia tosta per autoproclamarsi all’altezza. Così com’è stato un errore, peraltro commesso su scala nazionale, abbandonare la dimensione collettiva dell’azione politica, con i suoi luoghi e i suoi tempi, per ridurla a mera delega verso il singolo più attraente. La politica sana non può essere un gioco di singoli, perché il singolo è debole, è ricattabile, è minacciabile, è esposto alle tentazioni e agli errori.
Dall’introduzione della nefasta legge sull’elezione diretta del sindaco del 1993, ogni attenzione si è spostata dalla politica ai politici. In vista di ogni tornata elettorale, l’unica preoccupazione è quella di individuare il candidato sindaco più attraente, il singolo più coinvolgente. Nessuna attenzione ai programmi, alle idee, alla visione. L’importante è prendere voti, il da farsi lo decidiamo strada facendo. Si assiste al totale abbandono di prospettiva strategica. È indispensabile oggi recuperare il senso del tempo nell’azione politica, costruire un grande futuro anziché vantarsi del minuscolo presente: meno pavoni vanitosi, più passeri laboriosi.
Come avviene in occasione di ogni funerale rispettabile, anche a quello di Trinitapoli sarà opportuno indossare abiti scuri, togliersi il cappello, incedere in maniera composta, tenere un cipiglio serio, lasciare che il rammarico maturi, osservare un periodo di lutto. I pagliacci siano tenuti fuori dalla chiesa.
Dopodiché, bisognerà guardare al futuro fiduciosi, con sguardo collettivo, senza individualismi e con tanta voglia di partecipazione. Sarà fondamentale fare tabula rasa di ciò che è stato. Soprattutto sarà importante ripartire con forze nuove, intraprendenti, molteplici. Bisognerà far capire a chi sta lì a pavoneggiarsi da molti anni che ora è il momento di farsi da parte. Ora basta, sparite!