Raffaele Vitto è un artista trinitapolese appassionato di Art in Nature, una branca della ricerca artistica che mira a rendere la natura protagonista stessa della performance: da scenario a soggetto, da tela a dipinto. Di famiglia contadina, Raffaele ha sviluppato la sua coscienza artistica a contatto con la natura. Ciò l’ha spinto a sperimentare un rapporto di matrice intellettuale con la terra, lontano dai canoni del modernismo, che ormai dalla fine del XIX secolo condiziona la nostra visione del mondo e ci costringe a considerare l’elemento naturale quale mera risorsa da sfruttare per la gloria della potenza umana. Raffaele considera la terra una madre e una sorella, una casa comune e un rifugio per lo spirito: la terra va meditata e rispettata, non sfruttata o violentata.
Raffaele Vitto è giovane ma ha già esposto in contesti molto importanti (visitando il suo sito www.raffaelevitto.it potrete farvi un’idea) ma mai a Trinitapoli. Il perché risiede da una parte nell’eterno problema del nemo propheta in patria (lo diceva Gesù, e c’è da credergli se pure lui per predicare fu costretto a uscire dalla Galilea); dall’altra parte c’è un dato oggettivo: la Land Art, cioè l’arte della terra, va praticata in loco, cioè nei luoghi dove sono organizzate le mostre più importanti. Questa volta, però, anche perché spinto dall’incremento degli avvenimenti infausti che costantemente affliggono la cittadina, Raffaele ha deciso di operare proprio nel suo paese di origine, a Trinitapoli.
Il territorio trinitapolese da anni è flagellato da incendi incontrollati e devastanti che, oltre a distruggere e impoverire i terreni sui quali vengono appiccati, investono di scorie tossiche l’aria e il terreno. Il dramma è così presente che la sua gravità ormai non sfugge più a nessuno, tanto che numerosi cittadini e associazioni territoriali hanno presentato una petizione alle autorità per chiedere interventi in tal senso. Raffaele Vitto ha voluto offrire il suo contributo di riflessione sul fenomeno dei roghi, affrontandolo dal punto di vista artistico, in un tentativo di sensibilizzazione davvero ammirevole.
L’opera realizzata – in realtà una vera e propria performance en plein air – si chiama Strategia Fabiana, dal nome del dittatore romano Quinto Fabio Massimo, detto Cunctator, il Temporeggiatore. Questi fu incaricato del comando militare contro l’esercito di invasione del generale cartaginese Annibale, allorquando il grande condottiero, attraversando a sorpresa le Alpi con una formazione che prevedeva anche l’uso di elefanti da guerra, travolse i romani lungo tutta la penisola italica. L’esercito di Roma non era in grado di ostacolarlo con le normali tecniche militari. Così, Quinto Fabio Massimo adottò una strategia militare che dal suo nome si chiamò Fabiana, ma che noi forse conosciamo meglio come strategia della terra bruciata.
Annibale era in territorio straniero e la linea dei rifornimenti era di fatto inesistente. Il suo esercito si sostentava grazie alle risorse dei territori che attraversava. Quinto Fabio Massimo suggerì che se i romani avessero dato alle fiamme le terre frequentate da Annibale, la sua permanenza in Italia sarebbe stata destinata a terminare presto e il cartaginese sarebbe stato sconfitto senza necessità di affrontarlo sul campo di battaglia, laddove si era dimostrato invincibile. Bruciare la propria terra per sconfiggere il nemico invasore: questa era la strategia fabiana.
Dimostrando grande capacità critica e ispirato dall’esperienza annibalica, Raffaele Vitto, assistendo allo scempio perpetrato sul nostro territorio dagli incendi, si è chiesto quale sia il senso di tutto ciò. Contro chi combattiamo oggi? Qual è il nemico che ci porta a bruciare la nostra stessa terra? Qual è la guerra che oggi si combatte e perché facciamo terra bruciata delle nostre stesse risorse? Domande che dovrebbero essere pane quotidiano per gli abitanti di Trinitapoli (e non solo) e che invece sembrano rivestire scarso interesse per una parte della popolazione.
Questo è il compito dell’arte, in particolare della Land Art, disciplina di contatto con la natura e partecipativa: muovere le coscienze, generare emozioni, spingere alla riflessione sul senso delle cose, invitare a porsi delle domande.
L’opera è consistita nel riportare allo stato primigenio un fazzoletto di terra su un campo devastato da un incendio. Con strumenti primordiali, una zappa e un rastrello, l’artista ha semplicemente fatto riaffiorare lo strato di terra umiliato dalle fiamme, rimuovendo la coltre carbonizzata e riportando la terra a «respirare», per comporre una geometria elementare come i principi fondativi del rapporto uomo/natura: rispetto, limite, attesa, interazione gentile. Con un gesto di rara semplicità eppure di straordinaria efficacia, Raffaele Vitto costringe l’osservatore alla riflessione. Da una parte del confine – netto, marcato – c’è l’uomo e la sua opera devastatrice, di colore nero, inespressivo, totale assenza di colore; dall’altra una natura di genuina bellezza, dai colori miti, ferita ma non compromessa, carica di promesse se solo fossimo in grado di valorizzarla, anziché sfruttarla.
Al termine della performance e anzi quale parte di essa, l’artista ha spiegato ai convenuti il senso della sua creazione. C’è stato spazio per domande e interventi: la Land Art è concepita per essere inclusiva, interattiva (in senso reale). Gli spettatori sono parte dello spettacolo, completano il significato dell’opera, non ne sono estranei, aggiungono spazio e non sottraggono protagonismo alle creazioni artistiche (come molto spesso invece accade nei musei, laddove il pubblico rischia di sottrarre centralità alle opere).
Io ero fra i presenti. Per me è stato un giorno particolare. Nello stesso pomeriggio avevo un meeting, uno shooting, un briefing e una performance, tutti appuntamenti che direttamente o meno avevano a che fare con l’arte e il territorio. Quando, dovendo organizzarmi, ci ho pensato e ho messo in fila gli impegni, mi sono sentito molto «milanese». Briefing, meeting, shooting, performance… Dentro di me ho sorriso come avrebbe fatto un profeta a casa sua: amaramente. Poi, ascoltando Raffaele, il sorriso ha preso una piega diversa, di speranza. Trinitapoli è fatta anche di persone straordinarie: bisogna che esse si trasformino in risorse di cui essere orgogliosi. Se Trinitapoli avrà un futuro lo dovremo a questi profeti di casa nostra.