Trinitapoli sta vivendo uno dei periodi più difficili della sua storia. Si trova in un territorio, quello della BAT, severamente provato dalla criminalità, al primo posto in Italia per furti d’auto, vittima di crimini ambientali quotidiani, frustrato da inciviltà di ogni genere e sotto la lente d’ingrandimento della Commissione Antimafia. La prospettiva, nient’affatto improbabile, è che il consiglio comunale possa essere sciolto e affidato a un commissario che fra i suoi compiti non ha certo quello di rendere felici i cittadini. Altrove, vedi per esempio Foggia, la sospensione delle istituzioni democratiche conseguenti allo scioglimento per mafia sta causando malcontento: i commissari hanno il compito di riportare ordine, non benessere.
Ricordo che alla scuola elementare, quando uscivamo per giocare a calcio, diversi bambini (di solito gli arroganti) si disputavano il diritto di comporre le squadre e decidere chi aveva il diritto di giocare e in quale ruolo. I più deboli venivano esclusi o emarginati in ruoli poco appetibili. Il mio maestro usava un metodo brutale per risolvere le controversie: se non si riuscivano a comporre due squadre equilibrate e inclusive, ci toglieva il pallone e si tornava in classe.
La responsabilità era la nostra: se volevamo giocare, dovevamo trovare un accordo che accontentasse tutti. Eppure, nonostante l’amara alternativa fosse quella di non giocare, molto spesso il compromesso non si trovava. Prevaleva la rabbia, la volontà di sopraffazione. Così il maestro scippava il pallone dalle mani del prepotente e faceva tornare tutti in classe.
Questo fa un commissario: toglie il pallone ai fessi.
È di poco fa la notizia, giunta agli ignari casalini attraverso i giornali, che la Commissione antimafia resterà a indagare per altri tre mesi. Nessuno mi è parso scandalizzato dal fatto che una notizia così importante sia stata appresa senza che sia stato pubblicato lo straccio di un comunicato ufficiale, un provvedimento, un’ordinanza. Non solo: non si è visto o sentito un commento, una valutazione, la pur flebile voce di un qualche sedicente politico che spiegasse cosa diavolo sta accadendo. Da cittadini, siamo già diventati sudditi e nessuno dice niente.
Nessuno tranne noi de Il Peperoncino Rosso.
Più volte dalle pagine di questo blog o del periodico, abbiamo denunciato il silenzio di coloro che dovrebbero fare politica. Si ergono a paladini della legalità o si autoproclamano la parte buona del paese, ma non valgono niente. Non sono capaci di fare altro se non tacere e aspettare con ansia che il maestro arrivi a togliere il pallone a tutti.
Beghe di quartierino, accuse pelose, vecchi conti da regolare, scheletri nell’armadio, inimicizie infantili, processioni di petti gonfiati di aria marcia. Questo fanno i cosiddetti politici. Se fosse stato per loro, i trinitapolesi non avrebbero saputo nulla di quello che sta accadendo e dei pericoli che si corrono.
Eppure.
Eppure quando esce Il Peperoncino Rosso ecco magicamente riaffiorare dalle profondità del nulla le voci stridule dei critici. Chi si lamenta di questo, chi si lamenta di quello, chi insulta a destra, chi minaccia a sinistra, whatsapp si riempie di improperi, di consigli, di lascia stare quello e non toccarmi quell’altro. Insomma, all’unisono le salme della politica intonano i salmi del silenzio. Zitti! Per carità! Volete davvero che i cittadini sappiano la verità?
Una vergogna.
Il Peperoncino Rosso
In un momento come questo, Trinitapoli dovrebbe pullulare di opinioni, di invocazioni, di Politica con la P maiuscola. E invece, se in questi mesi non ci fosse stato Il Peperoncino Rosso a dare quel minimo di informazione e di opinione, con i mezzi faticosi di chi lo fa per passione e si autofinanzia senza dover dar conto a nessuno, i trinitapolesi sarebbero completamente all’oscuro di tutto. Come, peraltro accade in maniera multiforme da troppo tempo.
Negli ultimi vent’anni, infatti, Il Peperoncino Rosso è stato la cartina di tornasole della vita politica e amministrativa del paese, l’archivio unico della nostra vita comunitaria, il periodico che “esce quando deve”, fra tanti presunti politici che quando si avvicinano le elezioni “escono quando non devono” a raccattare voti di qua e di là. Il Peperoncino non è estemporaneo, non aspetta il momento giusto, non dà conto a nessuno se non ai suoi autori, ai suoi editori, ai suoi lettori e al suo credo politico. Parla quando sente di dover dire qualcosa e tace su molte delle quisquilie di cui si occupano i politicanti casalini. I pettegolezzi di piazza li lasciamo ai pettegoli e alla piazza. Siamo una voce indipendente, ferma, non abbiamo timore di prendere posizione e non dobbiamo nulla a nessuno.
Quando anche questo periodo tremendo sarà passato, una sola sarà la voce ad averlo raccontato dall’inizio e senza paura: la nostra.
Se non vi piace, non leggetelo. Se non vi soddisfa, fatevene uno vostro. Se pretendete che dia le notizie che piacciono a voi, arrendetevi: non facciamo cronaca, elargiamo opinioni. Se volete (se siete capaci) ospitiamo i punti di vista di tutti, ma non rinunciamo al nostro. Se vi scandalizzate, sono affari vostri.
Personalmente dico: il Peperoncino Rosso mi ha offerto ospitalità da sempre e ne ha offerta a chiunque, di qualsiasi colore. Basta scorrere l’archivio dei numeri passati per verificare che si è data voce davvero a tutti (a troppi, direi, ma non comando io, per fortuna). Solo i ciechi e quelli in malafede non lo riconoscono. Se per caso, qualcuno dei numerosi presunti politici trinitapolesi ha la capacità e la voglia di creare un giornale, tenere un blog, uscire ogni mese a spese proprie e ogni settimana con un articolo online, si faccia avanti.
Altrimenti, accettate un consiglio: siete stati zitti fino a oggi, continuate così, ché forse tacere è davvero l’unica cosa che vi viene bene.
Però, ricordatevi sempre Peppino Impastato (per davvero, non le chiacchiere di facebook): il silenzio è mafia.