Nel corso delle mie ricerche su saline e termalismo ho avuto modo di leggere un libro molto interessante: Margherita di Savoia – Storia di una comunità nella prima metà del Novecento, a cura di Saverio Russo, Claudio Grenzi Editore.
La storia del termalismo
In particolare, per la materia che qui interessa, il capitolo di Vincenzo Gambatesa, Il sogno termale. Nascita del Termalismo a Margherita di Savoia, è di grande impatto per la percezione che il lettore ricava della profondità storica di una visione sorprendentemente intergenerazionale.
Già l’incipit svela una verità che per molti contemporanei potrebbe presentarsi come una rivelazione inattesa.
«La storia del termalismo a Margherita di Savoia è strettamente intrecciata con quella della sua salina per la semplice ragione che da essa derivano le sue materie prime: le “acque madri” e i fanghi salini.
Quella risorsa, di cui si intuivano le potenzialità, era sembrata per moltissimo tempo inspiegabilmente indisponibile, nonostante che una certa quantità di acque madri venisse dispersa ed incanalata verso il mare, in quanto in eccesso rispetto alle necessità della produzione salifera.
Già alla fine dell’Ottocento il senatore Raffaele De Cesare, dopo aver visitato la nostra terra in compagnia del Ministro dei Lavori Pubblici Prinetti e dei deputati Pavoncelli, Giusso, Maury e De Martino, pubblicò sul fascicolo di marzo 1897 della rivista “Nuova Antologia”, alcuni suoi appunti che dovevano servire da promemoria per il Governo per una nuova politica economica di valorizzazione delle risorse delle regioni meridionali e in particolare della Puglia, sua terra di origine.
Riferendosi proprio a Margherita, De Cesare scrisse che aveva tutte le potenzialità per diventare “una delle stazioni più belle, più sane e più felici del mondo”.»
Nel 1922 si arriva al conferimento della concessione al Comune di Margherita di Savoia.
«La convenzione prevedeva la cessione al Comune, per esclusivo uso idroterapico, di una parte delle acque madri in esubero rispetto ai fabbisogni della produzione salifera, in quantità comunque non superiore ai 6.000 metri cubi annui alla densità di 10 gradi Beaumé o di un quantitativo corrispondente nel caso la gradazione fosse risultata superiore. Il quantitativo concesso doveva essere prelevato, a cura del Comune, alla fine della campagna salifera o all’inizio di quella successiva, restando comunque esso subordinato alle esigenze della lavorazione del sale.»
È importante ciò che osserva Gambatesa: «Le iniziative dell’Amministrazione Comunale per rendere possibile lo sfruttamento delle acque madri a scopo idroterapico e far diventare Margherita una importante stazione del turismo termale, fece crescere nella popolazione anche la consapevolezza di un’altra importante risorsa, non ancora valorizzata, rappresentata dalla spiaggia “vellutata per le sue finissime sabbie” .
Fino ad allora, la spiaggia di Margherita era stata meta di numerosi bagnanti provenienti dai paesi della provincia che vi si recavano “sia per la cura delle acque marine che per quella delle stufe di sabbia”. Si trattava di un turismo spontaneo e libero che, in assenza di stabilimenti balneari in grado di offrire adeguati servizi, non apportava nessun beneficio all’economia del paese.»
Il passaggio evidenzia un punto nodale: non furono le spiagge a far emergere la vocazione turistica dei margheritani, bensì la consapevolezza di poter diventare un importante centro termale ad accendere la lampadina sulle altre risorse. Si tratta di un processo di enorme interesse, perché replicabile.
Il faraonico progetto di stabilimento termale inizialmente concepito non fu mai realizzato. L’ipotesi era davvero strabiliante per l’epoca e, col senno di poi, si prova un pizzico di rammarico al pensiero di ciò che la sua realizzazione avrebbe potuto rappresentare, non solo per Margherita e i margheritani.
Una costruzione grandiosa
La soluzione più spettacolare «prevedeva una costruzione grandiosa, signorile, lussuosa, “di aspetto veramente imponente, e di considerevole importanza nelle sue proporzioni e nella sua estensione”. Essa si sviluppava su una superficie complessiva di 15.000 metri quadrati, di cui 5.100 coperti e 9.900 per “giardinetti, cortili, cavedi, passaggi e disimpegni vari”. Doveva essere ubicato alla periferia occidentale dell’abitato, prima del porto canale, con la parte adibita ad albergo rivolta verso la strada per Zapponeta e con la parte adibita a terme che guardava verso il mare.
L’edificio presentava una facciata monumentale in stile settecentesco lunga 120 metri ed alta, nella parte centrale, oltre 23 metri, mentre la profondità massima raggiungeva gli 80 metri, con le “terrazze e relative scalinate a mare”. Prevedeva cinque diversi livelli con un immenso terrazzo a copertura dell’intero edificio. Tutti i materiali previsti per la costruzione dovevano essere del luogo: pietra di Trani, ghiaino di Manfredonia, piastrelle di Canosa, ecc.
Il progetto prevedeva complessivamente 143 stanze d’albergo per un totale di 257 posti-letto e 110 stanzini per le terme, “complessivamente tra quelli per uomini e per signore”. Il costo complessivo dell’opera si aggirava intorno ai 12 milioni di lire, escluso il costo del terreno.»
Alla fine, si optò per ciò che si poteva fare in economia, un piccolo edificio in larga parte costruito in legno. «Infatti, lo stabilimento per i bagni termali fu realizzato sull’arenile compreso fra la periferia occidentale del paese e il portocanale. […] Lo stabilimento inizialmente fu dotato di dieci vasche divise in due reparti di cinque ciascuno, uno per gli uomini ed uno per le donne».
Da quel momento in poi è partita la vicenda che, attraverso passaggi raccontati sapientemente da Gambatesa fino al 1947, porta fino ai giorni nostri.
«Il giorno 13 febbraio 1947 segnò l’inizio del nuovo corso del termalismo a Margherita. Infatti in quel giorno fu costituita con sede in Foggia la società per azioni “Terme di Margherita di Savoia”»
Segnalo il volume e ne consiglio la lettura. Conoscere il passato è imprescindibile per immaginare il futuro.