Allo scorso consiglio comunale, all’ordine del giorno c’era la presa d’atto delle dimissioni dell’assessore Giustino Tedesco per ragioni di salute.
Con grande sorpresa quelli che sono stati i suoi nemici per oltre vent’anni, dopo aver ironizzato sulle sue condizioni di salute, si sono sperticati in lodi sproporzionate. Fino al giorno prima avevano dipinto l’assessore Tedesco grande manovratore, poco trasparente. All’indomani delle sue dimissioni, Giustino diventa improvvisamente un faro, una guida, un instancabile lavoratore al servizio della comunità, un tutore del dialogo democratico, un modello.
Gli interventi dei consiglieri di opposizione, oltre che incoerenti, erano ammantati di ipocrisia. Hanno cantato le lodi dell’ex assessore al solo scopo di criticare il sindaco Losapio, che qualche tempo prima gli aveva tolto la delega assessorile. Sulla stessa linea i consiglieri Maria Grazia Iannella e Roberto Di Feo.
Non mi è mai capitato di commentare l’operato dell’ex assessore. Sul Peperoncino ci sono figure più competenti in materia edilizia e urbanistica che hanno fatto conoscere la propria opinione. Su queste pagine posso solo fargli i miei auguri per la sua salute e per il nuovo corso della sua vita. Pur non conoscendolo a fondo, mi è sempre parso persona rispettabile, educata e concreta.
Forse la maniera migliore per illustrare quanto accaduto è quella di farlo in rima.
Componimento in terzine incatenate di 27 endecasillabi (con qualche licenza metrica)
Nella pugna furente del vil consesso,
Similmente all’effetto d’amabil vino
Nell’anime affrante e nei cuori di gesso,
S’alza improvviso il cinguettio meschino
In ode all’Eterno assessore indefesso
Alemanno di stirpe e di nome Giustino.
Subì, sì, contumelie, dileggio e sfregio,
Come più si confà ad essere divino
Che preghiera non oda e non dia agio.
Eppure, nel dire la sua dipartita,
Nemici giurati ne cantarono il pregio,
Opere e lodi elencando sulle dita.
Sì come odiato stette in vita il regio
E il popol suo costantemente prono,
Similmente pianse l’orfano collegio
Ma solo allorché fu perso il trono
E d’incensar l’Eterno s’acquistò il coraggio,
Quasi come ad invocar perdono.
Fu come in aere apparisse un astro
Lucente ed atteso più d’un condono
Per colui che del paese pose ogni pilastro.
“Infine s’avvidero i miei detrattori,
Così smussò il puntuto rostro!
Or tacquono pentiti e delatori.
Attacch’io subii per ogni picciol chiostro.
Ora infine godemmi lo scenario lercio
Purché costoro non mi rompan ‘l castro”.
Traduzione
Nella battaglia furente del consiglio comunale
Così come agisce un vino amabile
Sulle anime affrante e sui cuori di pietra
Si alza improvvisamente il cinguettio triste
In ode all’eterno assessore instancabile
Tedesco di cognome e Giustino di nome.
Subì, è vero, insulti, sfottò e disprezzo
Come più si addice a una divinità
Che non ascolti le preghiere e non dia soddisfazione.
Eppure, comunicate le sue dimissioni,
I suoi nemici giurati ne cantarono il valore
Elencando pregi e opere sulle dita.
Così come accade quando il re è odiato in vita
E ciononostante il popolo si prostra ai suoi piedi,
Allo stesso modo il consiglio comunale pianse per la dipartita
Ma solo dopo che arrivarono le dimissioni.
Solo allora si ebbe il coraggio di elogiarlo
Quasi come a chiedergli perdono.
Fu come se nel cielo fosse apparsa una stella
Splendente e attesa più di un condono
Per colui che aveva costruito tante cose nel paese
“Alla fine se ne sono accorti i miei critici,
Si è smussata la punta delle loro lance.
Adesso tacciono gli infami.
Ho subito attacchi per ogni più piccola inezia.
Ora posso godermi il panorama di sporcizia
Basta che non mi rompono il villaggio.”
(castro latinismo per castrum: villaggio, accampamento militare)