Lo scorso 4 settembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto con cui il Presidente della Repubblica ha commissariato il Comune di Foggia per mafia. Il decreto è corredato della corposa relazione (135 pagine) con cui il Prefetto espone al Ministro dell’Interno gli esiti delle indagini condotte dalla Commissione d’indagine (come quella che si è insediata a Trinitapoli) per verificare il livello di infiltrazione della criminalità organizzata nelle istituzioni politiche e amministrative locali.
È un documento che andrebbe letto con attenzione da chiunque si proponga di fare politica nei prossimi anni. Anzi, meglio, è un documento che andrebbe obbligatoriamente letto e studiato da parte di ogni elettore che alla prossima tornata si presenti alle urne. Per una volta, il suffragio, anziché universale, dovrebbe essere condizionato: «Hai letto la relazione? Puoi votare. Non l’hai letta? Torna da dove sei venuto».
Cosa dice la relazione in sintesi?
Immaginate Gomorra in salsa foggiana, cialtrona, spaccona, gutturale, zozzona, impiastricciata, melensa, funzionaria comunale, un po’ mia cuggina un po’ poraccia, assenteista e rubamazzetta, abbondiana e furbesca, laqualunquesca e piamedea.
Ignorante, insomma.
La relazione è un trattatello pratico su come fregare la pubblica amministrazione con le sue stesse mani, su come occupare ogni spazio quando non c’è politica, dove la visione cede il passo agli affari, dove il denaro è l’unica parola che conta per i ricchi e l’ultima che vogliono sentire i poveri. Non c’è un solo settore di competenza del comune di cui la criminalità non si fosse impadronito: gestione degli impianti semaforici, videosorveglianza, accertamento e riscossione dei tributi, servizi cimiteriali, gestione bagni pubblici, manutenzione verde pubblico, servizio personale ausiliario nelle scuole comunali per l’infanzia, alloggi popolari.
Tutto ciò che poteva essere preso, la criminalità se l’è preso, con la complicità (o l’acquiescenza, o la paura, o la sottomissione, o il compiacimento) di politici e funzionari corrotti così dipinti dal Prefetto: «Il numero degli amministratori coinvolti […] e la sistematicità dell’attività corruttiva, evidenziati dagli atti di indagine, forniscono un quadro di inquietante rilievo, che fa da cornice all’asservimento del munus pubblico ad interessi privati perseguiti a qualsiasi costo dagli amministratori della res publica, espressi dall’elettorato attivo di Foggia».
Il grassetto ce l’ho messo io, perché alla fine è di questo che voglio parlare. Ma un articolo non basta. Non ne bastano dieci, per la verità. Un dibattito politico serio sullo stato della democrazia sul nostro territorio non durerebbe meno di qualche anno, a dirla tutta. Si può solo tratteggiare qualche elemento di riflessione, sperando che a Trinitapoli (attualmente in una situazione che potrebbe preludere a un quadro simile a quello di Foggia, ma anche Cerignola, Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia, eccetera) prenda finalmente corpo una discussione su temi politici, e non sul nome del prossimo candidato sindaco. Prima le idee: i nomi, gentilmente, dopo.
La prima domanda da porsi è la seguente: in un contesto economico familistico e disfunzionale come il nostro, dove il senso civico è assente e la cultura è l’ultima ruota del carro, può un intervento (pur doveroso e pesante) dello Stato ripristinare un confronto politico latitante da moltissimi anni? Dico la mia: se non cambia l’essenza (e la condizione economica) dell’elettorato attivo, la risposta è no. La decapitazione dei vertici ha effetto nell’immediato, ma poi le logiche descritte dal Prefetto nella relazione di scioglimento del comune di Foggia sono destinate fatalmente a perpetuarsi nel giro di poco tempo.
Bisogna prendere atto, infatti, che alcuni politici vincono le elezioni non perché il popolo ignora le loro amicizie, bensì proprio perché le conosce bene. Nel nostro contesto molti votanti si aspettano un ritorno immediato al loro investimento elettorale e a fare favori nessuno riesce a essere così efficace come un’organizzazione criminale, certamente non un’amministrazione oculata che deve rispettare paletti legali e termini tecnici. Il dramma sta nel fatto che dalle nostre parti il popolo si è assuefatto a considerare tollerabile rinunciare al voto libero in cambio di un briciolo di serenità economica, un lavoretto, un part-time, qualsiasi cosa che garantisca un minimo di stabilità.
La presenza della Commissione di indagine antimafia deve essere considerata un’opportunità anche per Trinitapoli, a prescindere dai risultati (ancora sconosciuti) che otterrà.
Chiunque in futuro (non sappiamo quanto lontano) vorrà occuparsi dell’amministrazione della nostra comunità dovrà affrontare temi politici profondi, che vanno ben al di là del condizionamento criminale. Il tema ambientale, innanzitutto, e il suo coordinamento con le categorie produttive. Il tema dello sviluppo turistico: questo paese deve o non deve tendere allo sviluppo del settore, considerando che altrove in Puglia proprio il turismo ha fatto rifiorire altri comparti economici? Dovremo ancora tollerare di far respirare diossina ai nostri figli? I temi sono molti.
Purtroppo, al momento, da tutte le forze politiche paesane, di maggioranza e opposizione, proviene solo un gran silenzio. Prudenza? Assenza di idee? Incapacità di esprimerle?
Non lo so.
Un amico appassionato di politica ha pubblicato pochi giorni fa un post significativo. Dice: «Antico proverbio: la parola è d’argento ma il silenzio è d’oro», che sembra lo spot di Genny Savastano. Non proprio il massimo di questi tempi.
Io dico che due paroline garbate ai cittadini di Trinitapoli per spiegare quello che sta accadendo sono doverose da parte delle forze politiche. Almeno per capire se in un momento così drammatico il dibattito è (come mi risulta) ancora fermo ai nomi degli aspiranti candidati sindaci.
Ora tocca a me! No, tocca a me! Silenzio, spetta sempre a me!
Triste.