Chi è Vincenzo Centonze? Nato a Trinitapoli nel 1946, laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in Gastroenterologia ed in Farmacologia clinica, “Maitrise” in Pedagogia delle Scienze della Salute, già Direttore S.C. di Medicina Interna Ospedaliera, già Docente di Medicina Interna e Medicina Psicosomatica presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari. Autore di numerosi volumi e di oltre 380 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali.
“Non è vero – sosteneva Seneca – che non abbiamo tempo. La verità è che ne perdiamo molto.” Questa riflessione può aiutare a vivere i pochi o i molti giorni della vecchiaia con più ottimismo?
R: Non ne sono certo e mi spiego. Se sul piano quantitativo il “tempo” è per tutti l’intervallo fra la nascita e la morte (vita), sul piano qualitativo (piacevole? noioso? perduto? guadagnato?), di fatto, è plasmato dalla “qualità” delle singole esistenze. E questo rende la tua domanda molto soggettiva. Il “tempo perduto” per qualcuno potrebbe essere “tempo guadagnato” per qualcun altro. Che poi quel “qualcuno” in vecchiaia possa cogliere la necessità di recuperarlo e reinventarlo in chiave ottimistica mi sembra difficile. Non impossibile.
Hai sicuramente incontrato nella tua carriera di medico molti pazienti anziani. Quanto l’idea di essere diventato vecchio influisce sulla guarigione?
R: In maniera ambivalente, direi. Se “quell’idea” non ostacola interessi, passioni, amicizie, progetti l’influenza non può che essere positiva. Se “quell’idea” si consegna al “non far niente” o, peggio, si polarizza sull’approssimarsi della fine del percorso terreno, spalanca le braccia alla solitudine, alla depressione, al decadimento cognitivo. Con conseguenze negative sulla malattia, sulla guarigione o sulla sua stabilizzazione.
Una serie di stereotipi e luoghi comuni sulla vecchiaia tendono da un lato a rinchiudere l’anziano in una bolla asfittica dalla quale la vita resta chiusa e dall’altro producono giudizi affrettati di demenza senile nel caso qualche 80/90enne esca fuori dalle righe. Come possiamo difenderci dalla forza degli slogan?
R: Ignorandoli o riconoscendoli per quello che sono: strumenti della banalizzazione del fenomeno vecchiaia. Ed anche evitando di trasformarli in una sorta di salvacondotto per una vita affrancata da qualsivoglia impegno o un po’ “fuori dalle righe”. Da non medicalizzare…se un po’! La vecchiaia, pur con tutte le sue limitazioni sul piano motorio, è una fase della vita da affrontare con leggerezza e con la consapevolezza di poter dare ancora tanto sul piano affettivo, esperenziale, culturale, sociale a se stessi e agli altri.
Ci sono mnemotecniche specifiche per migliorare le capacità mnestiche degli anziani?
R: Tantissime, soprattutto mirate sul training cognitivo riabilitativo. Non essendo la vecchiaia di per sé una malattia, penso sia più utile segnalare le buone pratiche che aiutano a conservare una efficiente capacità mnemonica: alimentazione (mediterranea) contenuta, attività fisica quotidiana, sonno non inferiore alle 6 ore, abolizione del fumo, tanta lettura, vita sociale ricca, giochi che richiedono ragionamento e creatività (scacchi), studio di uno strumento musicale (flauto-chitarra-pianoforte) o di una lingua straniera, meglio se orientale.
La storia del singolo è sempre legata a quella dell’intera società. Quali servizi, strutture e attività possono essere il necessario supporto pubblico ad una vecchiaia più produttiva e meno angosciante?
R: Escludendo i Centri Assistenziali specialistici, riservati alle condizioni di patologia/disagio, ogni struttura in grado di creare aggregazione, favorire le relazioni, sviluppare cultura (Centri di Lettura, Cohousing, Orti urbani) può risultare di grande utilità.
Non esistono parametri uguali per tutti per sentirsi vecchio. Un gerontologo americano ha detto con un’efficace metafora che “la senescenza è una rampa di gradini irregolari su cui certuni rotolano più in fretta di altri”. In che modo il dottor Vincenzo Centonze cerca di attutire questa caduta?
R: La mia famiglia, permeata di affettività ed il mio lavoro, che amo molto, rendono quei gradini meno irregolari. Poi faccio attività fisica, seguo una alimentazione controllata, leggo molto (giornali, romanzi, saggi, fumetti), amo il teatro e passare tutto il tempo possibile con i miei nipotini. Per imparare.
Suggerimenti? lasciarsi sempre sedurre dalla “curiosità”/“diversità”, imparare a gestire i sentimenti negativi (nostalgia-invidia), non trasformare il proprio passato in un totem, vivere pienamente la affettività (un abbraccio, una carezza, un sorriso, un bacio valgono più di milioni di integratori!).
Infine, non smettere mai di sognare, perché i sogni, come la creatività, non invecchiano. E aiutano a non invecchiare.
ANTONIETTA D’INTRONO
Via: Corriereofanto.it