Dieci donne si raccontano per lasciare una traccia di sé. Katya Coppolecchia / Dina Damato
Katya Coppolecchia e la Magia degli Scatti
Una bambina sognatrice, con le sue scarpette di danza tra le mani, il primo filo di lucido sulle labbra e uno chignon perfetto, un tutù fucsia, spalle dritte e sorriso sulle labbra, questa è in sintesi Katya, avevo 5 anni e ricordo ancora il cuore che batteva! Ho dedicato più della metà della mia vita alla danza, fino a quando ho dovuto appendere le mie scarpette al chiodo. Tanta gente pensa che la danza sia solo uno sport, un modo per perdere chili o di occupare la giornata, ma c’è molto di più! È la fusione tra cuore, stato d’animo e pubblico. Quando sali su un palco hai solo un dovere, quello di comunicare, che sia un’emozione, un messaggio, uno scritto, qualsiasi cosa, ma questa deve arrivare al pubblico che è lì per ricevere qualcosa da te.
Mi chiamo Luigia Katya Coppolecchia, molfettese, classe 85, felicemente sposata dal 2012 con Michele Sicoli, conosciuto tra i banchi del Politecnico di Bari durante gli studi di ingegneria, e mamma di due splendidi gioielli, Alessandro e Christian. Fin da subito ho condiviso con Michele la passione per la fotografia, da lui ho imparato tante cose, dalla pellicola alle regole di inquadratura, dal bianco nero al colore ma una cosa non si può imparare, ed è la magia di uno scatto e ciò che ci vedi in esso!
Da questo ho capito che la fotografia poteva essere un altro modo per comunicare, un modo introverso, particolare, sottile, “l’arte alla portata di tutti ma alla lettura di pochi” la definisco io. Insieme abbiamo aperto il nostro studio fotografico, che portiamo avanti ancora oggi con tanto orgoglio e sacrificio. Ho dedicato parte della mia vita al volontariato, recuperare bambini da situazioni difficili ti fa capire quanto spreco e quanto superfluo ruota intorno le nostre vite. Il mio sogno nel cassetto? Scrivere un libro e trasformarlo in una grande opera teatrale.
Quali difficoltà una giovane donna come te, che svolge più o meno la stessa attività del suo partner, affronta ancora quotidianamente nonostante le ottime leggi che le donne si sono conquistate con grande coraggio e determinazione negli ultimi 50 anni?
Essere una mamma che lavora, oggi come allora non è facile. È vero, negli anni ’50 si sono fatti enormi passi avanti per la donna ma alcuni di questi non sempre vengono applicati. Abbiamo lottato per la parità tra uomo e donna ma di fatto chi cucina, chi sistema casa, chi bada ai bambini è, quasi sempre, ancora la donna, anche se lavora. Io e mio marito, avendo lo stesso lavoro, passiamo spesso le stesse ore fuori casa, spesso abbiamo dovuto dividerci perché non siamo riusciti ad organizzarci con i bambini o con gli impegni della famiglia.
In questo periodo di Emergenza sanitaria, io ho dovuto quasi annullarmi per seguire le esigenze dei bimbi, direi che la difficoltà più grande è farli crescere bene, con la nostra presenza, senza affidarli completamente a nonni, zii o baby sitter; questo però mi porta a non avere tempo libero per me stessa, tempo da dedicare ai miei sogni. Il disagio che oggi una mamma si trova ad affrontare, va ben oltre le leggi, tocca l’emotività di essere una donna prima ancora di una mamma e una moglie, con il vuoto che ti lascia un’occasione che non riesci a sfruttare a pieno e che devi lasciare andare per gli impegni con la famiglia!
Dina Damato sognava di cambiare il mondo
Il mio nome è Leonarda Damato, per gli amici Dina, ho 67 anni e da tre sono una professoressa in pensione. Ho insegnato Italiano e Storia per molti anni e molti li ho trascorsi al Liceo Staffa di Trinitapoli. Mi sono laureata all’Università di Bari alla facoltà di Filosofia negli anni in cui gli studenti e le studentesse prendevano coscienza delle problematiche e sognavano di cambiarla. Sono questi gli anni anche dei movimenti femministi a cui mi sono avvicinata, soprattutto durante il referendum sul divorzio e sull’aborto. Per molti anni mi sono impegnata in politica, anche se non in prima fila e in associazioni culturali.
Sognavo di cambiare il mondo, di far trionfare l’uguaglianza soprattutto fra uomo e donna, di combattere le ingiustizie e l’intolleranza. Questo impegno l’ho riversato anche nel mio lavoro cercando di essere vicina ai miei ragazzi e aiutarli a capire se stessi per realizzare i loro sogni. Le passioni che oggi continuo ad avere sono la lettura, i viaggi, il cinema, il teatro, tutte attività che in questo periodo di pandemia non si possono fare.
Mi rimane la lettura come unica possibilità di evasione. Se ripenso alla mia vita e alle mie aspettative non provo nessun rimpianto, ho sempre fatto quello che era possibile fare, sia nel lavoro che nella vita privata. Ho incontrato belle persone con le quali c’è sempre stato un rapporto di complicità e di aiuto reciproco. La famiglia non è stato un impedimento nel realizzare quello che desideravo. Certo, non tutti i sogni si sono realizzarti, ma vivere senza rimpianti è già un buon risultato.
Molte ragazze oggi affermano che non ci siano più ostacoli nelle carriere professionali delle donne. Ma come si spiega l’aumento della disoccupazione femminile in Italia e nel mondo?
Ad uno sguardo superficiale effettivamente sembra che le donne non abbiano più ostacoli nelle carriere professionali e si trovino in ogni posto di lavoro, da quello più umile a quello più elevato. Ma se guardiamo con più attenzione ci rendiamo conto che nei posti di potere e di comando le donne o non ci sono o sono poche. Le donne hanno avuto l’accesso a posizioni “alte” come quelle di dirigente o imprenditrice molto lentamente, anche perché tali lavori richiedono un impegno totale che spesso impongono una scelta fra lavoro e famiglia soprattutto se la società non prevede strutture di supporto per le donne lavoratrici.
Infatti là dove l’orario di lavoro si concilia con gli impegni familiari, le donne sono la maggioranza della forza lavoro. Non sempre il lavoro femminile è garantito soprattutto nei periodi di crisi quando la disoccupazione femminile aumenta in percentuale rispetto a quella maschile in quanto le donne sono le prime ad essere licenziate. Questo è accaduto in tutto il novecento (vedi i due dopoguerra, la crisi del ’29, negli anni 70, nel 2008), e oggi con la pandemia sono le donne che vivono una condizione di maggiore precarietà.