‘Paradise’ beffardamente era il nome dell’hotel diroccato di Ortanova, in provincia di Foggia, dove, con un blitz la mattina del 19 agosto del 2005, i carabinieri liberarono 95 lavoratori polacchi e 15 slovacchi ridotti in stato di schiavitù dai ‘caporali’. Questo racconta Paradise, pièce scritta da Valeria Simone con la compagnia al femminile Acasa, andata in scena nell’Auditorium dell’Assunta di Trinitapoli.
Dirette dalla regista Marialuisa Longo, hanno recitato: Elisabetta Aloia, nel ruolo di Krystyna, che reclutava in Polonia braccianti da mandare in Puglia; e Monica Contini nel ruolo di una madre polacca chiamata in Italia per il riconoscimento del corpo del figlio scomparso. Nel corso di questo processo internazionale, il primo capo d’accusa fu la messa in schiavitù. Dopo tanti anni, e soprattutto dopo tanti morti e inchieste, poco è cambiato nonostante sia stata approvata dal Parlamento nel 2016 una legge sul Caporalato.
Durante l’estate le condizioni ordinarie di lavoro dei raccoglitori di pomodori non sono un segreto:12 ore e più al giorno per ricevere paghe anche inferiori a 2 euro l’ora e mezzi di trasporto pieni di “carne umana” per raggiungere all’alba il campo di lavoro.
Nessuno ricorderà mai i nomi e i visi dei 16 ragazzi stranieri morti lo scorso agosto nel foggiano, in uno scontro del furgone che li trasportava dopo una giornata di raccolta sui campi di pomodori.
In fin dei conti, erano negri che rubavano il lavoro agli italiani!
Aboubakar Soumahoro, sindacalista africano dell’U.S.B., contesta l’abitudine disumanizzante di chiamare questi lavoratori “extracomunitari” perché serve a distrarre dai veri problemi di fondo che sono la scarsissima sindacalizzazione del settore e lo “sfruttamento arcaico” messo in atto dai caporali di cui si avvalgono le oltre 30mila aziende, con a capo bianchi “comunitari”.
Il Centro di Lettura Globeglotter, organizzatore della serata teatrale, ha in programma altre iniziative culturali dedicate all’immigrazione e a tutte le problematiche ad essa connesse. L’argomento centrale del lavoro, della disoccupazione e dello sfruttamento dei lavoratori, siano essi italiani che stranieri, non può e non deve essere considerato marginale in nessun contesto di promozione culturale e sociale. Gli episodi di razzismo, i pregiudizi di ritorno e le condizioni di lavoro degli esseri umani non dipendono esclusivamente dal ceto politico e dal “capitalismo dal volto disumano” degli ultimi decenni, ma anche da un “sentiment” che coinvolge tutti i ceti sociali, anche quelli più colti (come l’insegnante che recentemente ha messo lo studente di colore dietro la lavagna).
L’unica rivoluzione che può cambiare questo mondo disumanizzato è quella culturale.
Ascoltare la storia dell’oppressione del popolo curdo direttamente dalla voce del giovane scrittore e fornaio Ben Somay, arrivato in Italia su un gommone, non ha una valenza minore di un incontro più “casalino” sui riti e le tradizioni della Settimana Santa. Tutte le tematiche sono importanti se servono ad aprire la mente e il cuore della gente.
Spesso succede, però, che senza la chiave del pensiero critico si rimane chiusi nel proprio piccolo mondo di certezze.
ANTONIETTA D’INTRONO