Sporcaccioni non si nasce, si diventa. Urla e ramanzine servono a poco se il sindaco non si decide finalmente a far ripulire la città da cima a fondo, almeno in un periodo in cui l’igiene è l’antivirus per eccellenza.
Una ventina di anni fa i cittadini che abitavano nei pressi del centro storico di Trinitapoli accusarono un giovane algerino, che occupava un monolocale a pianoterra, di fare i propri bisogni in strada. Il ragazzo, poliglotta e laureato in Storia, lavorava come guardiano notturno in un cantiere e dopo tante peripezie era riuscito a farsi fittare una specie di “spelonca”, sterrata e senza servizi igienici. Dovetti faticare un bel po’ per far capire ai suoi vicini di casa che l’aria si sarebbe impregnata dei profumi di incenso (che l’africano accendeva quando pregava) se soltanto il padrone di casa avesse utilizzato le 200 mila lire mensili del suo inquilino per costruire un bagno nel locale che gli aveva fittato.
Mi è tornato in mente questo episodio durante uno degli ultimi sermoni del sindaco Francesco di Feo sul maxi-decreto del governo per far ripartire le attività produttive e per regolamentare gli spostamenti e le uscite nella fase due del Covid-19. Il salmodiare è continuamente punteggiato di predicozzi e di giudizi sommari contro sporcaccioni, incivili ed eventuali untori che si permettono di trasgredire i suoi ordini e di non rispettare l’igiene, formando assembramenti e lasciando rifiuti per strada. In effetti la città non è proprio un esempio di lindore. Però fra tanti discorsi online, fra tanti rimbrotti e spauracchi, fra tante minacce di chiusure, fra tanti “io, io, io, io, io, io”, possibile che il sindaco non abbia mai il tempo di girare per la città? Non so, una passeggiata ad esempio in piazza Mattarella. In un bel giardino di più di 5 mila metri quadri ci sono nientepopodimeno che 2 (leggere due) cestini per accogliere i rifiuti dei frequentatori e nessuna “ramazzatura” settimanale e rimozione dei veicoli come previsto in un’ordinanza. Di contenitori, poi, per le deiezioni dei cani neanche l’ombra.
Oppure suggerisco una camminata su una lunga arteria mediana della città: via Marconi. Scoprirà che esiste un solo impianto a tre cestini all’ingresso della villa, nei pressi della quercia monumentale del paese. I cani si devono arrangiare. Le stesse scoperte le farà anche in via Martiri di via Fani e in via A. Moro: solo quattro all’uscita delle panetterie e verso la stazione. Se qualche cestino ha poi la sfortuna di rompersi, come in corso Trinità, è destinato a rimanere per anni in bella vista. Neanche il fastidio di toglierlo. Tralasciamo poi i “cammini erbosi” delle strade di città che almeno ai tempi del Covid-19 dovrebbero avere il piacere di un taglio d’eccezione. Così, per registrare la data nei libri di storia. La pulizia piace a tutti e solo un malato di mente butta a terra rifiuti se ha accanto un contenitore dove farli sparire. Deve finire la litania che ci sono in giro degli sciagurati e degli imbecilli che non vedono l’ora di “sporcare” il paese. Forse è arrivato il momento di non rimanere alla finestra a guardare bensì di chiedere a gran voce maggiore pulizia a chi ha l’incarico istituzionale di provvedere. Eppure le strade completamente deserte, senza macchine e persone, avrebbero dovuto facilitare lavaggi approfonditi e sanificazione dopo essere state sepolte dalla polvere degli anni. Quando i larghi marciapiedi di via XX Settembre, di corso Garibaldi e di corso Trinità saranno ripuliti per bene, quando almeno la pavimentazione della villa di viale Vittorio Veneto ritornerà “bianca” come in passato e quando saranno moltiplicati e svuotati quotidianamente i cestini per i rifiuti, beh allora, forse, si potrà gridare a giusta ragione all’untore.
Antonietta D’Introno